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Viviamo in una società democratica. Eppure la letteratura, quella che conta e che vale, è per gran parte aristocratica. È aristocratica non perché gli scrittori siano "monarchici", ma in quanto il loro lavoro è ispirato a un ideale esoterico e iniziatico, rivolto soprattutto a una casta ristretta di intenditori raffinati, distinti dalla cultura chiamata sprezzantemente "di massa". Succede che un nuovo pubblico, meno preparato e dotto, chiede di accedere al mondo della lettura; la tecnologia consentirebbe all'editoria libraria di esaltare questo processo, ma l'ecosistema letterario risponde arroccandosi in una posizione tradizionalista. Si è così prodotta una frattura storica nella dinamica dei fatti letterari, quale si è svolta nei secoli scorsi, con un'espansione costante dell'area dei lettori che viene sempre più intercettata dai nuovi media. Di più, è entrato in crisi il fondamento stesso della letterarietà e della relazione tra l'autore e i suoi molti interlocutori. La democrazia letteraria affronta questa somma di temi e problemi avvalendosi spregiudicatamente degli apporti di discipline diverse.